Sindrome di Kawasaki: cos’è e come viene trattata in medicina

Apr 23, 2021Nutraceutica Biolife
Sindrome di Kawasaki: cos’è e come viene trattata in medicina

La sindrome di Kawasaki è una malattia che colpisce neonatie bambini tra gli 1 e gli 8 anni d’età. Provoca sintomi quali febbre prolungata, esantema, infiammazione a carico delle muscose, linfoadenopatie e congiutivite. Si caratterizza per la comparsa di vasculiti ricorrentiinfiammazioni delle arterie di medio e piccolo calibro che interessano tutto l’organismo.

Nei casi più gravi può sfociare in importanti danni cardiaci, poichè le arterie più colpite dalla vasculite sono le coronarie, che portano il sangue al miocardio. Le manifestazioni della malattia a livello cardiaco interessano il 20% dei casi di sindrome di Kawasaki e comprendono: insufficienza cardiaca, miocardite acuta, endocardite e pericardite. Non sono rari i casi in cui si presentano anche degli aneurismi delle coronarie, che ingrossano il vaso che ad un certo punto si rompe causando un infarto.

La malattia ha vari stadi. Il primo sintomo a comparire è la febbre, che insiste per almeno 5 giorni prima che sopravvenga la letargia, l’irritabilità e un dolore addominale di tipo colico. E’ facile, visto la comunanza dei sintomi, scambiare la Kawasaki per influenza stagionale. In seguito appaiono le eruzioni cutanee sul tronco e sulla regione perineale, la congiuntivite, l’iperemia faringea e la lingua “a fragola”. In alcuni casi si possono apprezzare anche un lieve edema, la desquamazione della pelle e il linfadenopatia cervicale dolente, fino ad arrivare a sintomi più gravi a carico del sistema cardiaco. Tra gli altri organi che possono essere colpiti da questa malattia vi sono i reni, il pancreas, le alte vie respiratorie, le mucose e i linfonodi.

La sindrome di Kawasaki è la prima patologia cardiaca nei bambini. Le cause che la provocano sono sconosciute ma, con tutta probabilità, includono un mix tra fattori genetici e ambientali. In assenza di una cura definitiva, si somministra al paziente una terapia a base di immunoglobuline e aspirina, nel tentativo di scongiurare i danni cardiaci e la morte. Se la malattia viene presa in tempo e non compaiono danni cardiaci, la prognosi è buona e la mortalità è sotto l’1%.

Alcuni studi hanno ipotizzato che la causa possa risiedere in una risposta immunitaria anomala ad un’infezione probabilmente virale in soggetti già predisposti, che attiva il sistema immunitario contro l’organismo. Una seconda possibilità prende in esame l’esistenza di un meccanismo autoimmune che prende di mira le arterie.

Il danno cronico a carico dell’endotelio aumenta la concentrazione di trombina e attiva i linfociti, specie in fase acuta. Dagli esami effettuati sui pazienti, sono stati trovati anticorpi anti-endotelio (AECA), probabilmente generati da un microrganismo ma in grado di cross-reagire verso alcune componenti delle arterie, attacandole senza reale motivo perchè non riconosciute come parte dell’organismo.

Si viene così a creare un serio danno alle arterie e si attivano le cellule immunitarie con rilascio di citochine proinfiammatorie che favoriscono l’iper-coagulazione del sangue e le lesioni alle arterie coronarie. Il ruolo dell’infiammazione nella sindrome di Kawasaki è primario e concorre a determinare la prognosi della malattia.

L’aspirina viene somministrata per abbassare la febbre e per sopprimere, parallelamente, l’infiammazione, controllando la coagulazione sanguigna affinchè non si vengano a formare dei trombi. Questa terapia, somministrata in bambini al di sotto di 12 anni d’età, però, non è esente da rischi, poichè potrebbe provocare la sindrome di Reye. Data la gravità della sindrome di Kawasaki, tuttavia, secondo la classe medica il rischio è inferiore ai benefici, pertanto, in assenza di un protocollo specifico e risolutivo, la terapia a base di aspirina rimane quella normalmente adottata.

In alcuni studi si è ipotizzato di riuscire a curare i bambini affetti da Kawasaki senza la somministrazione di FANS o quantomeno, diminuendone il dosaggio per poter meglio controllare gli effetti collateriali. La medicina sta guardando agli integratori naturali a base di AHCC, una molecola di origine fungina che ha effetto antinfiammatorio dimostrato attraverso trial clinici e in vitro. Già usato come coadiuvante di numerose terapie, è un estratto standardizzato di beta-glucani derivati del micelio del fungo giapponese Lentinula edodes. L’AHCC ha numerose funzioni sulle cellule del sistema immunitario, in particolare sui linfociti T e sui linfociti Natural Killer. La molecola è in grado di controllare l’eccessiva risposta immunitaria e previene gli effetti collateriali che seguono l’assunzione di FANS e corticosteroidi.

Uno studio che è diventato punto di riferimento scientifico della materia mostra come i beta-glucani somministrati ad un modello animale, hanno aumentato la fagocitosi da parte dei linfociti neutrofili e l’attivazione dei linfociti NK. I beta-glucani sono ormai considerati dei modificatori della risposta biologica: attivano direttamente le cellule immunitarie, potenziano la sintesi e la secrezione di varie citochine e controllano la risposta immunitaria impedendo le reazioni abnormi del sistema immunitario tipiche della sindrome di Kawasaki. Il loro meccanismo d’azione si basa sul controllo degli effetti negativi dei farmaci antinfiammatori, la cui assunzione non va mai interrotta.

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